Dal fiume Medoacus al Brinta

Il nostro è un paese sorto sopra un letto di ghiaie e acqua, formatosi nei millenni grazie al passaggio del fiume Brenta,  a partire dall’Olocene, circa settemila anni fa. Questo importante corso d’acqua è stato sia amico che nemico per gli abitanti della nostra terra: alleato perché da sempre alimenta gran parte (70%) delle vene d’acqua sotterranee dalle quali si formano per affioramento le risorgive, ostile perché le sue periodiche esondazioni hanno distrutto abitazioni e coltivazioni.

In epoca romana, uno dei due corsi del fiume Brenta si chiamava Medoacus Minor (Bonetto, 2003) e lambiva il nostro territorio seguendo l’odierno percorso del Ceresone. Il percorso curvilineo degli altri due paleoalvei guadensi, l’Uselino e la Poina, ricorda anch’esso il passaggio del fiume che, come riporta il cronista dei Longobardi, Paolo Diacono, dopo il 556 d.C. si spostò ad est dove scorre oggi, unendosi al Medoacus Maior.

Certamente i primi ad incanalare l’afflusso di acqua nella nostra pianura furono i Romani, grazie alla realizzazione della centuriazione di Marostica che giungeva fino alla località Armedola. Carreggiate e canali disegnavano il perimetro ortogonale delle centurie e costituirono il primo sistema di irrigazione della campagna coltivata dai coloni.

La centuriazione fu preceduta dalla costruzione della via consolare Postumia  nel 148 a.C che, attraversato il nostro territorio, guadava il Medoacus Minor e Maior per dirigersi poi ad est verso Aquileia. Il guado del fiume nel nostro territorio certamente è stato punto di sosta e scambio commerciale del quale ancora oggi esiste memoria nel toponimo Via Poston, nome che nel Medioevo indicherà la posta (sosta) delle mandrie ovine e bovine che scendevano dall’Altopiano di Asiago, durante la transumanza.

E’ importante sottolineare che la via Postumia, come “Arzeron della Regina” che da Carmignano di Brenta si dirigeva verso Padova, sono state due vie che hanno protetto la pianura dalle esondazioni del fiume, in quanto entrambe erano sopraelevate rispetto al piano campagna. La nostra via Levà, nei pressi dell’antica via Postumia,  ricorda ancora oggi questo aspetto. Nel Medioevo il fiume prenderà il nome latino Brintesis che significherebbe rumoreggiare forse a ricordo del fragore delle piene (Bondesan, 2003).

Il Medoacus e l’ipotesi del villaggio Terramare

La mancata indagine archeologica su questo antico sito non ci permette di avere dati certi sulla sua origine.

L’area circolare del Castellaro ricorda l’insediamento arginato di antichi abitati su palafitte della tarda Età del Bronzo, dei quali però non è mai stato rinvenuto alcun reperto archeologico.

Il sito in questione riguarderebbe un villaggio Terramare. Il nome significa “terra grassa” e deriva dalla tipologia del terreno ricco di materiale organico rinvenuto sotto i resti delle palafitte di questi villaggi. Il sito ricorda altri insediamenti della zona come: Cittadella e le Motte a San Martino di Lupari, anch’essi  arginati e circondati da un corso d’acqua per proteggere il villaggio.

Resta comunque improbabile questa ipotesi storica, in quanto il villaggio sarebbe sorto dove un tempo scorreva il fiume Medoacus Minor (antico nome del fiume Brenta), che centinaia di anni dopo si sposterà ad est.

Il toponimo Castellaro fa pensare piuttosto ad una costruzione fortificata medioevale. Esso potrebbe essere stato una costruzione difensiva contro le scorrerie degli invasori, ma anche un castrum caniparum per custodire i prodotti della terra. E’ interessante osservare la riproduzione circolare del Castellaro nelle mappe antiche, ma soprattutto come un tempo esso fosse unito al centro del paese da una strada quasi rettilinea, come per permettere un rapido accesso. Auspichiamo che un approfondito studio storico ed archeologico possa spiegare scientificamente l’origine di questo particolare ed interessante sito (Pilotto, 2006).

Il Medoacus e la Centuriazione di Marostica

Lo storico veronese Aldo Benetti ha ricostruito la centuriazione di Marostica risalente alla fine del I secolo  a.C.,  della quale il nostro territorio faceva parte.

La centuriazione era il risultato finale della bonifica e suddivisione dei terreni che gli antichi romani operavano in un territorio conquistato. La pianura veniva suddivisa tramite una griglia regolare di strade detti cardini, se orientati nord-sud, e decumani se orientati ad est-ovest. Ogni centuria misurava 710 m di lato, per una estensione di circa cinquanta ettari. E’ la prima sistematica realizzazione di strade e canali per l’irrigazione, che permise l’insediamento dei coloni romani e l’avvio dell’agricoltura su vasta scala. L’orientamento nord-sud dei cardini era inclinato di 4° gradi nord-ovest per favorire lo scolo dei canali.

La centuriazione, che partiva da Marostica e si estendeva fino ad Armedola, non tenne conto dell’orientamento della Via Postumia a causa della morfologia irregolare del suolo, ma certamente del vicino Medoacus minor. Non sono infatti rintracciabili elementi della centuriazione ad est del Ceresone, in quanto tutta la zona, fino all’attuale corso del fiume Brenta, era soggetta al corso mutevole e rovinoso del fiume.

San Pietro in Gu apparteneva alla divisione del territorio sviluppatasi ad est del cardo massimo, passante per Bolzano Vicentino. L’orientamento di alcuni limites è tuttora osservabile in alcuni tracciati stradali. Ad Armedola possiamo osservare, ad esempio, la disposizione del cardo nell’antica strada, un tempo detta appunto Marosticana come si può osservare in una mappa di Armedola del 1653 (Pilotto, 2006).

Un grande bosco

Nel 1186 il pontefice Urbano III concesse ai Canonici di Vicenza i privilegi su un bosco a sud del paese: il nemus Canonice (Maccà, 1813). L’area occupava un migliaio di campi vicentini e fu gestito nel corso del Trecento dagli Scaligeri. Esso si estendeva tra Grantorto, Gazzo, Barche, Armedola e oltre. Tale area venne via via disboscata per lasciar posto alle coltivazioni. In un affitto dei Canonici di Vicenza del 1461 a favore di Cristoforo Sartore, fu Pace, si parla di trentasei campi boschivi (Golin, 2014).

Si trattava di una foresta, sorta su di un terreno non di rado alluvionato, che favoriva la crescita di salici, ontani, querce, queste ultime importanti per le ghiande e l’allevamento dei maiali, ancora oggi attività significativa nell’economia locale. Non è irreale pensare alle mandrie di porci attaccate dai lupi che, assieme a caprioli e cinghiali, costituivano la loro dieta. 

La bonifica operata dai monaci, tra l’antica via Postumia e il grande bosco, permise la nascita del primo insediamento medioevale e la sua modesta chiesa di Sancto Petro in gudi (1191), nel bosco appunto.

Soltanto dopo il 1404, con la Repubblica di Venezia, il bosco venne gradualmente ridotto fino a scomparire definitivamente. 

 

La bonifica medioevale e l’antica pieve di San Pietro

Il documento più antico che attesta l’esistenza della Chiesa di San Pietro in Gu è una pergamena datata 1191 e redatta in Villa de Sancto Petro in gudi sub domo Rodulfi gastaldi. Rodolfo era l’amministratore dei beni del monastero benedettino di San Felice e Fortunato di Vicenza (Marangoni, 2007). Tutti gli studiosi affermano che la prima comunità nacque con molta probabilità dopo l’anno Mille, attorno alla chiesa primitiva costruita dai benedettini.

Furono i benedettini del convento di San Felice e Fortunato in Vicenza a dare avvio alla bonifica medioevale, recuperando ciò che rimaneva della centuriazione romana. Il lavoro principale fu quello di dissodare il terreno e vegrare, cioè tagliare, il bosco che da est, verso il fiume Brenta, e da sud lambiva il piccolo centro abitato.

Il ripristino dei canali di irrigazione permise la coltivazione del frumento, della segala, del miglio e del sorgo, e fu introdotta anche la coltivazione della vite maritata, cioè sostenuta da filari di alberi.

L’appellativo di pieve, dal latino plebs, cioè popolo, dato all’edificio nelle Rationes decimarum del 1297, sottolinea una certa importanza di questa chiesa dove si amministrava il sacramento del battesimo. Nel documento viene riportato il nome del primo parroco: Michele. La chiesa primitiva era dedicata solo a San Pietro Apostolo, come testimonia un documento datato 26 giugno 1350; successivamente essa fu intitolata a San Pietro e San Lorenzo, infine soltanto a San Lorenzo, a partire dal 10 novembre 1423.

Si può vedere una curiosa immagine dell’antica pieve, con il muro che delimitava il cimitero, in una mappa del 1689, prima quindi della costruzione dell’edificio tardo barocco del 1716.