Una gioventù tra i prati e i fossi

Testimonianza del Sig. Francesco Pettenuzzo

Incontro il Sig. Francesco a casa sua in Via Levà. Già la sua casa parla per lui: mura spesse e cucina grande. Il Sig. Francesco ha circa 80 anni ed è nato nel 1940 in questa casa e i suoi ricordi si riferiscono principalmente al secondo dopoguerra. La sua famiglia era numerosa e a fianco abitava un suo zio con numerosi figli, per cui alla sera sul selese (pavimentazione quadrata predisposta per l’essiccatura dei cereali) erano una cinquantina di persone.

La vita in una famiglia patriarcale scorreva sicura sul filo delle consuetudini e delle certezze acquisite nel tempo dai padri e dai nonni che continuavano ad essere presenti nella casa. I loro campi confinavano con la Roggia Uselino, che proveniva dai comuni più a Nord e da lì traevano l’acqua per l’irrigazione delle culture: frumento, mais, foraggi e tutto ciò che poteva servire per la grande famiglia. Tra le culture c’era anche quella della canapa che abbisogna di acqua sia nella fase di coltivazione che quella di trasformazione. La pianta una volta raccolta viene messa a macerare a lungo prima di essere battuta e trasformata in fibra tessile. La presenza dell’acqua e di tutta la rete irrigua era quindi fondamentale. La Roggia Uselino raccoglieva nel suo percorso anche l’acqua delle risorgive che numerose affioravano nei campi del Sig. Francesco. Apprezzandone l’importanza, gli uomini della grande famiglia Pettenuzzo dedicavano una giornata di lavoro collettivo periodicamente per pulire le fontane (risorgive). Lungo il corso dell’Uselino si trova il conosciuto Bojo delle boasse (grandi boe) luogo particolare dove nel tempo si è creato un avvallamento e quindi un bacino abbastanza profondo d’acqua, luogo preferito da alcuni pesci e dai ragazzi che lo utilizzavano per i loro giochi estivi.

Grazie alla presenza dell’acqua i capifamiglia erano in grado di migliorare la dieta con la pesca che veniva praticata in vari modi, ma sempre nel rispetto della fauna. Il padre di Francesco aveva una zucchetta che una volta svuotata ed essiccata conteneva la giusta quantità di pesce per la frittura serale: 1 Kg. Altre volte la pesca avveniva per prosciugamento di un tratto della roggia e allora il pesce pescato veniva distribuito all’intera contrada. Aumentare la pesca a danno della pur florida popolazione ittica non aveva alcun senso perché non esistevano modi per conservare il pesce! Allora, testimonia il Sig. Francesco, non si contavano, da quante ce n’erano, le trote, le bisate (anguille) le spinose (spinarello), le lamprede e molte altre specie.

Un altro modo per arricchire la dieta familiare era la caccia ed ecco perciò la presenza dello sguasso : il corso della roggia veniva bloccato periodicamente e straripando creava una grande distesa d’acqua, poco profonda ma estesa, nella quale si fermavano gli uccelli di passaggio attirati anche dagli uccelli da richiamo. A lato veniva costruito un capanno dove alloggiava il cacciatore appostato per la caccia. I ricordi dell’alba autunnale e invernale visti dal capanno, in attesa della caccia, sono tra i momenti più emozionanti vissuti dal Sig. Francesco. Grazie ai numerosissimi corsi d’acqua grandi e piccoli che circondavano i campi del Sig. Francesco crescevano floride e varie siepi che, capitozzate ogni 4 anni, davano legname in quantità sufficiente al fabbisogno domestico.

Questo tipo di convivenza è stato modificato in seguito ai cambiamenti dell’agricoltura, gli appezzamenti sono diventati sempre più grandi, ciò ha necessitato di macchinari sempre più pesanti che a loro volta hanno uniformato e livellato i terreni, spesso chiudendo le risorgive e complessivamente semplificando il paesaggio agricolo.